Gli Igigi erano un gruppo di divinità nella mitologia sumera. Secondo il mito, erano dèi più giovani ed erano al servizio degli Annunaki, almeno fino a quando non si ribellarono, costringendo i loro padroni a creare gli esseri umani.
Con il termine semita “Igigi” o “Igigu” si indica un gruppo di divinità del pantheon mesopotamico.
Come il significato di “Annuna” rimane di difficile e controversa interpretazione, così la parola “Igigi” necessita di ulteriori studi per essere compresa. Inoltre, non è del tutto chiaro cosa distingue gli Annuna dagli Igigi.
Come riportato dalla pagina dedicata dell’Oracc (The Open Richly Annotated Cuneiform Corpus), il termine compare nel mito di Atrahasis, eroe nella versione babilonese dell’Epopea di Gigamesh, racconto alla base del Diluvio Universale.
Il testo risale al XVII secolo a.C. ed è inciso su una tavola conservata presso il British Museum di Londra. Il reperto offre alcune testimonianze sulla relazione tra gli Annunaki e gli Igigi.
Il testo si compone di tre tavole, ognuna delle quali si sviluppa per otto colonne, quattro sul fronte e quattro sul retro, ogni colonna si compone di circa 55 righe.
L’intera opera si compone dunque di complessive 1.245 righe, di cui solo alcune sono giunte a noi.
Il Poema di Atraḫasis si apre con la condizione venuta a crearsi dopo la cosmogonia: il dio Cielo, Anu, è salito in cielo; Ea (Enki), è sceso nell’Apsû, il mondo sotterraneo delle acqua abissali, sopra le quali poggia la terra; Enlil ha preso per sé la terra, con tutti gli esseri viventi in essa contenuta.
Agli dèi Igigi è stato invece imposto il lavoro sulla terra, ambito in cui regna il dio Enlil. Gli Igigi scavano i fiumi, tra cui il Tigri e l’Eufrate, e i canali. Il pesante lavoro degli dèi Igigi, svolto di giorno e di notte, dura per 2.500 anni.
Così, a partire dal rigo 39 della I Tavola del Poema, questi dèi iniziano a rimuginare, finché, uno di loro li sprona ad abbandonare il lavoro e a ribellarsi.
Gli Igigi danno ascolto al loro compagno e gettano nel fuoco gli strumenti da lavoro, e marciando uniti, si indirizzano verso il santuario di Enlil. Così si legge nel poema:
“Quando gli dèi erano uomini, sottostavano alle fatica, portavano il canestro di lavoro; il canestro di lavoro degli dèi era troppo grande, il lavoro oltremodo pesante, la fatica enorme; i grandi Anunnaki, i sette, avevano imposto la fatica agli Igigi”.
Quello che segue è in parte danneggiato, ma sembra indicare che gli Igigi non volessero più sottostare alla fatica, costringendo gli Annunaki a trovare una soluzione definitiva. Ecco allora che gli Annunaki crearono gli esseri umani, che da allora in poi dovettero sopportare il lavoro degli dèi.
Enlil piange e medita di abbandonare la terra e salire in cielo con Anu, restituendo a lui le competenze divine sulla terra. Anu replica che ben comprende le ragioni degli Igigi, troppo grande è la loro fatica, quindi suggerisce di creare l’uomo (Lullû), quindi fa convocare la dea Mammu (Ea), la dea madre, affinché operi questa creazione e fa comunicare la sua decisione agli Igigi, i quali, sentendosi sollevati dalle estenuanti fatiche, esultano.
Mammu si prepara quindi all’opera di creazione, per questa ragione gli dèi Igigi decidono di indicare Mammu in qualità di “Signora di tutti gli dèi” (Bêlet-kala-ilî). Ea (o Mammu) mescola l’argilla quindi convoca gli Anunnaki e gli Igigi che sputano sopra l’impasto.
L’uomo si prepara a “essere” e gli verrà assegnato il compito che prima spettava agli dèi Igigi: il pesante lavoro sulla terra.
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