martedì 22 dicembre 2015

CRANI UMANI ALLUNGATI: POSSIBILI PROVE DI UNA PERDUTA STIRPE UMANA? OPPURE DI QUALCUN ALTRO?

Esiste una curiosa usanza che sembra accomunare culture distanti nel tempio e nello spazio: la pratica dell'allungamento del cranio. Perchè le culture precolombiane del centro america e quella egizia condividono questa stessa tradizione? Sembra chiaro che questa curiosa tradizione è stata molto importante per i nostri antenati, tanto da tramandarla fino all’epoca moderna. In un articolo interessante, Brien Foerster cerca nuove risposte ad un enigma che affonda le radici nella notte dei tempi.

crani allungati

A poche ore d’auto a sud di Lima, in Perù, si trova la penisola di Paracas, di cui parte è diventata una riserva ecologica dove è possibile vedere animali selvatici come i leoni marini, e una miriade di specie di uccelli marini.
La zona è incredibilmente ricca di frutti di mare e c’è abbondante acqua fresca appena sotto la superficie delle sabbie del deserto, aspetto che la rende particolarmente adatta per l’irrigazione agricola.
Tutte queste caratteristiche ne fanno un luogo molto vivibile per gli insediamenti umani. Infatti, numerosi strumenti in pietra databili a circa 8 mila anni fa sono stati rinvenuti nella zona.
Uno dei maggiori archeologi peruviani che ha studiato il sito è Julio Tello, che nel 1928 ha eseguito diversi scavi nell’area settentrionale della penisola. Il suo lavoro consentì la scoperta di un grande ed elaborato cimitero, nel quale ogni tomba conteneva intere famiglie mummificate, ogni membro delle quali era avvolto in ricche stoffe di cotone altamente stilizzate. Tello portò alla luce anche i resti di diverse abitazioni sotterranee, rivelatesi poi così numerose da estendere il villaggio per quasi 2 chilometri sulla costa.
Ma i reperti più interessati furono i teschi, alcuni dei quali enormemente allungati. Il nome scientifico di tale caratteristica è dolicocefalia. La maggior parte dei crani che presenta questa condizione, che è possibile riscontrare in diverse parti del mondo, è stata ottenuta attraverso una pratica descritta in precedente articolo e che ne determina la deformazione.
Esempi di questa tecnica, di cui si hanno notizie recenti anche su bambini del Congo e dell’Isola di Venatu, sono state osservati nell’antico Egitto, in Sudan, Iraq, Siria, Russia, Isola di Malta, ma anche in luoghi come il Perù e la Bolivia, e addirittura tra gli antichi Olmechi del Messico.
Come spiega Brien Foerster nell’articolo pubblicato dal Ancient Origins, la caratteristica di questa tecnica è quella di cambiare la forma del cranio modificandone la struttura ossea, ma non il volume effettivo. Tuttavia, Tello rinvenne circa 300 teschi che presentavano un volume cranico maggiore rispetto al normale, fino al 25 per cento in più. Come è possibile?
E’ evidente che ci si trova di fronte a due tecniche di allungamento differenti: una ottenuta per via meccanica, applicando un condizionamento alla crescita del cranio duttile di un neonato, e una ottenuta per via genetica. Come spiegare le dimensioni maggiorate dei teschi di Paracas? Qualcuno ha ipotizzato che si tratti di idrocefalia, o di qualche altra condizione clinica.
L’ipotesi è del tutto inaccettabile secondo Foerster, dato che l’idrocefalia tende a espandere il cranio in maniera uniforme, rendendolo più sferico che allungato. Inoltre, l’elevato numero di teschi sfida ogni ragionevole statistica sulla frequenza di tale disturbo. Inoltre, i teschi di Paracas, in media, pesano il 60 per cento in più dei teschi umani contemporanei provenienti dalla stessa zona.
Tello riteneva che i Paracas fossero legati al popolo della cultura Chavin, lo stesso che ha realizzato il famoso sito megalitico di Chavin de Huantar, basando la sua supposizione sulle somiglianze nei disegni e nei motivi decorativi della ceramica, in particolare nelle figure dei felini.
Tuttavia, Brien Foerster, che studia da anni queste antiche popolazioni, presentando i suoi risultati sul sito hiddenincatours.com, sottolinea che nessun cranio allungato è mai stato trovato nella zona in cui i Chavin vivevano, a nord di Lima e che quindi i Paracas non possono essere con essi imparentati.
Ma dal momento che Tello era considerato uno dei massimi esperti in Perù, quando datò la cultura Chavin collocando la sua esistenza tra il 900 e il 200 a.C., e applicò la stessa cronologia alla cultura Paracas ponendola tra il 700 a.C. e il 100 a.C, nessuno mai ha avuto l’interesse e il coraggio di confutare la linea temporale proposta dal famoso archeologo, almeno fino ad ora.
Un test del DNA eseguito nel 2010 da un team tedesco su alcuni teschi, indicano definitivamente che i Chavin e Paracas non erano geneticamente correlati. Anzi, i Paracas non sembrano imparentati con nessun altra popolazione passata esistita in Perù.
Dato che non sono stati ritrovati crani allungati nelle zone occupate dalla cultura Chavin e che il test del DNA sembra confermare che Paracas e Chavin non sono correlati geneticamente, Foerster ipotizza che i Paracas siano i discendenti di una cultura precedente, molto più antica, dalla quale avrebbero ereditato la tecnica di allungamento del cranio.
Come hanno rivelato alcuni ritrovamenti recenti, la popolazione Paracas sembra aver occupato l’area di Nazca prima dell’arrivo delle popolazioni tribali, e potrebbero essere stati i creatori dei famosi geoglifi (Linee di Nazca) della pianura di Nazca. A sostegno di questa tesi ci sarebbe l’enigmatico Candelabro delle Ande (anche conosciuto come il Candelabro di Paracas), un gigantesco geroglifo (183 metri di altezza e più di 100 di larghezza) realizzato sul pendio di una grande collina nella parte settentrionale della penisola, ottenuto asportando lo strato più superficiale del terreno per 50-60 centimetri.
Il mistero sull’origine e sullo scopo del manufatto è ancora da svelare, non essendo chiara neanche la sua antichità. Sono in molti a ritenere che il geoglifo sia da porre in relazione con le vicine Linee di Nazca, spesso interpretate come segnali di antichissime “piste di atterraggio” per misteriosi mezzi volanti di origine forse aliena. Se così fosse, il Candelabro, orientato verso Nord-Ovest, avrebbe avuto la funzione di indicatore di direzione per i mezzi volanti.
Altri ricercatori, invece, lo considerarlo un antico simbolo dei Cabeza Larga(Testa Larga), la misteriosa popolazione scoperta sulla penisola di Paracas nel 1960 da Frédéric Engel e che risalirebbe al Periodo Arcaico Andino, circa 3 mila a.C. In tal caso il Candelabro sarebbe la testimonianza delle scomparse e poco conosciute culture sviluppatesi oltre 5 mila anni fa in America centrale.
Ad avvalorare l’antichità della cultura Paracas, ci sarebbe lo sconcertante legame con le usanze dell’antico Egitto. Quando il faraone Akhenaton salì al potere, intorno al 1350 a.C., numerose effige lo ritraggono con un’evidente allungamento del teschio. La stessa consorte Nefertiti è raffigurata con la stessa deformazione cranica.
E’ possibile che la cultura Paracas e la cultura Egizia siano le dirette discendenti di un’unica cultura arcaica caratterizzata dal pronunciato allungamento del cranio? In alcune culture si tramanda che la pratica della deformazione cranica sia stata comandata dagli dèi discesi in antichità sulla Terra. Un’antica tradizione polinesiana ci informa chiaramente che questa pratica è stata insegnata loro da un gruppo di persone dalla pelle chiara la cui casa era nel cielo.
In America Centrale ci sono racconti analoghi, secondo i quali gli dèi discesi dal cielo comandarono questa pratica agli antenati dei nativi americani. In Perù si tramanda che il dio Manco Capac ordinò di praticare le deformazioni in modo che i loro figli sarebbero stati deboli, sottomessi e obbedienti. Comunque, sembra chiaro che questa curiosa tradizione è stata molto importante per i nostri antenati, tanto da tramandarla fino all’epoca moderna, perdendone, tuttavia, il significato originario.


lunedì 14 dicembre 2015

La Sfinge ha 800.000 anni di età: la tesi choc di due scienziati

Sembra una delle classiche bufale che girano in rete, ma da quanto mostrato nella loro pubblicazione, Manichev Vjacheslav I. e Alessandro G. Parkhomenko, sembrano parlare molto seriamente sugli 800.000 anni della Sfinge.


Due scienziati ucraini, Manichev Vjacheslav I. dell’Istituto di Geochimica Ambientale della Accademia Nazionale delle Scienze dell’Ucraina e Alessandro G. Parkhomenko, dell’ Istituto di Geografia dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Ucraina, hanno presentato il loro studio alla Conferenza Internazionale di Archeologia e Archeo Mineralogia tenuta a Sofia nel 2008 dal titolo: Aspetto geologico del problema della datazione della Sfinge d’Egitto.
I due scienziati, suggeriscono di superare i modelli ortodossi dell’Egittologia e iniziare a studiare seriamente le prove di erosione idrica presente sui monumenti nella Piana di Giza. “Il dibattito sulla datazione della Grande Sfinge è ancora aperto, nonostante le ampie ricerche effettuate. L’approccio geologico con altri metodi scientifici, permetterebbe di risalire alla reale datazione della Sfinge. Le indagini visuali hanno permesso di stabilire il ruolo cruciale che ha avuto l’acqua sulle cavità e le pareti del monumento”, riporta il documento. La morfologia dei sedimenti sembra essere dovuta alle onde dell’acqua e non all’abrasione della sabbia, secondo gli scienziati.

– La corrosione della Sfinge dovuta a grandi quantità d’acqua

La geologia conferma l’esistenza di laghi di acqua dolce in territori adiacenti ai territori del Nilo tra il Pleistocene e l’Olocene. La cosa straordinaria è che la sfinge, secondo questa teoria, fosse già in piedi in questo periodo. Per gli scienziati tradizionali, i sedimenti sono dovuti alla semplice erosione dovuta alla sabbia e al vento, ma per Vjacheslav e Parkhomenko, questo non spiega perché queste erosioni siano assenti sulla parte anteriore della testa della Sfinge e perché siano così simili alle erosioni provocate dal mare sulle coste.
Inoltre, due ricercatori pensano che questo monumento possa essere stato influenzato da grandi masse d’acqua e non da semplici inondazioni del Nilo. Il che significa che la Sfinge, era praticamente sommersa.
Questo logicamente, porta a una catena di domande: se realmente la sfinge era lì 800.000 anni fa, significa che qualcuno l’ha costruita, il che significa che una civiltà avanzata era già sul nostro pianeta. E’ praticamente improbabile che la comunità scientifica accetti una teoria del genere, perché, come si può immaginare, questo equivarrebbe a dire che tutto quello che c’è scritto nei libri di storia è falso.

venerdì 11 dicembre 2015

L’ENIGMA DELLA ‘PIANA DELLE GIARE’: INDIZI DI ANTICHI GIGANTI?

Migliaia di enormi giare giganti di pietra sono sparse per la pianura di Khouang Xien, nel Laos, formando una delle collezioni archeologiche più bizzarre ed enigmatiche del pianeta, con formazioni che vanno dal singolo vaso a raggruppamenti di diverse centinaia.

piana-delle-giare

Spesso definita come la versione sud-est asiatica di Stonehenge, la Piana delle Giare non smette di affascinare e interrogare archeologi e scienziati fin dalla sua scoperta nel 1930.
«La Piana delle Giare è uno dei più grandi misteri archeologici del mondo», spiega il dottor Dougald O’Reilly della School of Archaeology and Anthropology, Australia. «Sorprendentemente è stata condotta poca ricerca sul posto, a causa di conflitti nella regione. La zona dei vasi megalitici è ancora disseminata di ordigni inesplosi».
Tra il 1953 e il 1973, infatti, nel Laos è stato combattuto un conflitto che coinvolse diverse fazioni dell’aristocrazia del Laos, che già dalla fine del XVII secolo si contendevano il controllo del potere.
Fu conosciuta anche come Guerra Segreta, per il ruolo che vi ebbero gli Stati Uniti, costretti ad agire nell’ombra nel Laos dopo che la Conferenza di Ginevra del 1954 ne sancì l’indipendenza e ne dichiarò la neutralità nel vicino conflitto vietnamita.
L’aviazione militare statunitense sganciò più di 2 milioni di tonnellate di bombe a grappolo sul territorio laotiano (molte delle quali rimasero inesplose), la più grande serie di bombardamenti dai tempi della seconda guerra mondiale.
Mentre gran parte della storia recente della Piana delle Giare è nota, il passato remoto del sito rimane un enigma per gli archeologi. Le indagini sulla Piana sono cominciate nel 1930.
Gli archeologi del tempo ritennero che gli enormi vasi megalitici fossero associati a pratiche di sepoltura preistoriche, ipotesi che si rafforzò successivamente, quando un gruppo di archeologi giapponesi rinvenne resti umani e oggetti di sepoltura intoni ad alcune giare di pietra.
Si pensa che la Piana risalga al 500 a.C., rappresentando un interessante sito per lo studio della preistoria nel sed-est asiatico. I ricercatori hanno individuato almeno 90 raggruppamenti, con un numero di giare che varia dal singolo vaso fino a 400.
Le giare variano in altezza e diametro, con dimensioni comprese tra 1 e 3 metri, tutte scavate direttamente nella roccia. La maggior parte delle giare presenta un coperchio in pietra. Ciò lascia presumere che tutti i vasi ne dovevano avere uno.
Esse non sono decorate, ad eccezione di un singolo reperto individuato nel sito numero 1. Questo vaso presenta un bassorilievo antropomorfo che è stato definito ‘Uomo Rana’.
I ricercatori hanno intravisto un parallelismo con le pitture rupestri della roccia di Huashan, nel Guangxi, in Cina. I disegni, databili tra il 500 a.C. e il 200 a.C., rappresentano grandi esseri umani con le braccia alzate e le ginocchia piegate.
Le giare sono state scolpite in diversi materiali rocciosi, quali l’arenaria, il granito e la pietra calcarea. La maggior parte dei vasi in arenaria è stata prodotta con una tecnica di modellazione molto avanzata, ma comunque compatibile con le conoscenze dell’età del ferro.
Tuttavia, rimane l’enigma della modellazione del granito, materiale notoriamente molto difficile da lavorare e praticamente impossibile da modellare con uno scalpello in ferro.

Ipotesi scientifiche e leggende

Buona parte degli archeologi ritiene che la Piana delle Giare sia stata creata e utilizzata come luogo di sepoltura, soprattutto per i ritrovamenti di corpi umani attorno ai vasi e di varie suppellettili funerarie.
Secondo l’ipotesi del professor Eiji Nitta, docente all’Università di Kagoshima che ha condotto le indagini nel 1993, le giare non sono altro che un monumento funerario simbolico per contrassegnare le sepolture circostanti.
Anche l’archeologa Julie Van Den Bergh ritiene che la Piana delle Giare sia stato un sito adibito a pratiche funerarie. Ma, a differenza di Nitta, la Van Den Bergh ritiene che le giare potessero fungere da ‘vasi di disidratazione’ dei cadaveri. Solo in un secondo momento venivano sepolti attorno ad essi.
Ma non tutti sono d’accordo su questa ipotesi. Perchè creare dei vasi in pietra così elaborati da richiedere tantissime ore di lavoro? E come spiegare la tecnica di lavorazione così sofisticata?
Alcuni ricercatori ritengono che i vasi in pietra sono molto più antichi e che fungessero da deposito per alimenti o altri materiali. Solo molto tempo dopo sono state riutilizzate dalle popolazioni locali come strumento funerario. Ma anche in questo caso non vi sono conferme a questa ipotesi.
Un altra spiegazione possibile è che le giare servissero per raccogliere l’acqua piovana dei monsoni per dissetare le carovane di viaggiatori lungo il loro cammino. Dato che in quelle zone le piogge sono solo stagionali, le giare rappresentavano uno preziosa riserva d’acqua prontamente disponibile sui sentieri commerciali.
Le carovane accampate attorno alle giare nel corso del tempo potrebbero aver messo oggetti votivi come offerta, accompagnandoli con preghiere per la pioggia. Ma potrebbe anche trattarsi di semplici oggetti smarriti.
Sono interessanti, inoltre, le leggende tramandate dalle popolazioni del Laos, secondo le quali una razza di giganti abitava la zona ed era governata da un re chiamato Khun Cheung.
A seguito di una vittoria ottenuta in battaglia contro un suo acerrimo nemico, Khun Cheung avrebbe ordinato di creare le giare per produrre enormi quantità di ‘lau hai’ (‘lau’ significa alcool, presumibilmente ‘birra di riso’) e celebrare degnamente la sua vittoria.
Un altra tradizione locale tramanda che le giare sono state modellate utilizzando materiali naturali come l’argilla, la sabbia, lo zucchero e prodotti di origine animale, in una sorta di ‘cemento’ modellabile. La gente del posto ritiene che la grotta indicata come ‘sito numero 1′. in realtà fosse un forno dove venivano prodotte le giare.

La situazione attuale

Il governo del Laos sta prendendo in considerazione l’applicazione dello status di ‘Patrimonio mondiale dell’UNESCO’ per la Piana di Giara, anche per facilitare il reperimento di finanziamenti destinati allo sminamento dell’area.
La grande quantità di ordigni inesplosi, soprattutto delle bombe a grappolo, limita fortemente la libera circolazione dei ricercatori e dei turisti. Attualmente, per visitare il sito è necessario attenersi ad un percorso sicuro segnalato dai curatori dell’area archeologica.

mercoledì 9 dicembre 2015

Il mistero delle donne sacre Khmer le Devata di Angkor Wat

Angkor Wat, il tempio del 12° secolo
Angkor Wat, il tempio del 12° secolo

Qual è il segreto delle Devata, le bellissime raffigurazioni femminili che dominano il tempio di Angkor Wat in Cambogia ?

Uno dei maggiori misteri archeologici riguarda le antiche raffigurazioni di donne Khmer nel tempio di Angkor Wat in Cambogia, il più grande monumento religioso sulla terra.
Costruito nel pieno dell’Impero Khmer, nel 12° secolo, questa imponente struttura è decorata quasi esclusivamente con figure femminili, quasi 2.000.
Purtroppo, nonostante gli ultimi 150 anni di intense ricerche, il significato di queste sculture non è stato sufficientemente studiato.
Chi erano realmente queste figure ?
L’autorevole serie di studi realizzata da Kent Davis e da altri ricercatori di Devata.org vuole rispondere a questa domanda e rendere omaggio a queste donne scoprendo il loro contributo alla grandezza della civiltà Khmer.
Cultor, in questo primo contributo della collaborazione con Kent Davis ed il suo staff, propone l’analisi del rapporto tra Devata e Yogini indiane:
– Chi sono le Devata?
Questo studio è motivato dal desiderio di spiegare il motivo della massiccia presenza di raffigurazioni femminili, le Devata, nel tempio di Angkor Wat.
Comprendere chi siano queste donne Khmer ci permette anche di riconsiderare la vera finalità del tempio e capire il ruolo femminile nello sviluppo di questa straordinaria civiltà.
Per 150 anni, gli studiosi hanno spiegato semplicemente le Devata come presenze accessorie “per intrattenere il re del cielo” o “Decorare le nude pareti di arenaria“.
Le nostre ricerche indicano che queste figure hanno un ruolo molto più profondo ed importante della semplice decorazione: non si tratta solo di danzatrici ma di vere e proprie divinità.
Quindi è lecito pensare che la ragione principale per la costruzione di Angkor Wat (in lingua khmer: Tempio della città) potrebbe essere stata quella di onorare queste donne e festeggiare il loro contributo fondamentale all’impero Khmer. Proprio loro, infatti, sono state la chiave per mantenere armoniosa la società khmer, contribuendo alla sua prosperità economica.
L’argomento di questo articolo è il paragone tra Devata e Yogini, le vibranti divinità femminili dell’India, un confronto che può risultare illuminante per comprendere i misteri delle donne di Angkor Wat.
– Angkor e la civiltà Khmer
Devata raffigurata nel Bakkan
Devata raffigurata nel Bakkan, la parte più alta e più sacra del tempio di Angkor Wat.
Angkor Wat, il famoso tempio indù del 12° secolo, che ora si trova in piena giungla della Cambogia,non è solo la più grande struttura religiosa nel mondo. Questo tempio Khmer ha una particolarità: per quasi 1.000 anni, ha custodito le immagini sacre di oltre 1.796 donne.
Il fatto sconcertante è che nessuno sa chi fossero e quali valori di spiritualità o di governo rappresentassero. Perché tutte queste donne siano state scelte a dominare questo magnifico complesso con la loro presenza rimane un mistero.
Ogni ritratto femminile ad Angkor Wat è nettamente diverso dagli altri, con una miriade di differenze: posizione del corpo, delle mani (mudra), etnia, gioielli, vestiti, capelli e collocazione.
Non è rimasta quasi nessuna documentazione scritta che spieghi come la civiltà Khmer sia sopravvissuta attraverso i secoli. Il miglior racconto è quello del diplomatico cinese Zhou Daguan, che visitò Angkor Wat 150 anni dopo la sua costruzione.
Daguan non fa mistero del suo interesse per le donne Khmer. Infatti riporta dettagliatamente la loro importanza nella conduzione degli affari, il gran numero di donne che vivevano nel palazzo (senza tralasciare un’occhiata a quelle che facevano il bagno seminude). Nonostante il suo affascinante racconto, una delle tante domande cui Daguan non risponde è: “Perché i Khmer popolano i loro più grandi templi con queste immagini ?
Alcuni indizi si possono trovare in India, dove hanno avuto origine molti aspetti della civiltà Khmer.
In queste pagine quindi analizziamo le tradizioni delle Yogini indiane.
Non è noto se la religione Khmer, al tempo di Angkor Wat, avesse tradizioni simili incentrate su divinità femminili. Tuttavia, è chiaro che i templi Khmer propongano una netta preminenza di figure sacre femminili mentre quelle maschili sono quasi assenti. Alcuni templi indiani Yogini presentano questa stessa caratteristica.
Esamineremo quindi un tempio indiano che, come Angkor Wat, propone prevalentemente immagini femminili: il Tempio di Chaunsat Yogini a Bheraghat Jabalpur, nell’India centrale.
– Che cosa è una Yogini?
La parola Yogini in sanscrito devanagari
La parola Yogini in sanscrito devanagari
L’espressione Yogini, utilizzata in entrambe le tradizioni indù e buddhista, ha molteplici significati.
In primo luogo, può fare riferimento a una donna umana che si dedica a perseguire la conoscenza spirituale e l’illuminazione attraverso la pratica dello Yoga. Un praticante maschio è chiamato Yogi. Attraverso la sua pratica, una Yogini può acquisire determinati poteri soprannaturali compreso quello di controllare le funzioni corporee (vale a dire battito cardiaco, fertilità, resistenza al dolore o al freddo e metabolismo) o anche la capacità di volare.
Devi - Dipinto di V.V. Sagar
Lakshmi (ricchezza/soddisfazione materiale), Parvati (potere, amore, soddisfazione spirituale) e Saraswati (apprendimento/ arti, soddisfazione culturale) in un’unica manifestazione di Devi. Dipinto di V.V. Sagar.
Il percorso di una yogini può comprendere la pratica del Tantra (in sanscrito = tessere), una filosofia religiosa incentrata sull’interazione tra le forze maschili e femminili dell’universo incarnate da Shakti e Shiva.
La parola Yogini può anche riferirsi a personificazioni di aspetti della natura, che si manifestano dalla Dea Madre Divina, o Devi (raffigurata in un’immagine qui a fianco). Queste Yogini includono le dieci Mahavidyas (chiamate anche Grandi Saggezze o dakini) che rappresentano tutta la gamma della divinità femminile, dal bello e delicato al violento e terrificante.
In alcune scuole dello Yoga e del Tantra, queste potenti manifestazioni servono come modello da emulare per le Yogini umane.
Un’altra definizione caratterizza Yogini come aspetti della dea indù Durga, che è un’altra forma di Devi.
Durante una battaglia per salvare l’universo, Durga emanò otto Yoginis per raggiungere il suo obiettivo. In alcuni sistemi sono chiamate Màtrikà. Più tardi i testi moltiplicano le Yogini da 8 a 64 per rappresentare l’intera gamma di forze nel mondo che controllano fertilità, malattia, abbondanza, vegetazione, vita e morte.
In sostanza si può dire che le Yoginis incarnano la gamma delle donne, da umane a divine, che rappresentano, il controllo o cercano di controllare le potenti forze della natura, compresa la vita stessa.
Le immagini nei templi Yogini dell’India e coloro che hanno seguito per più di un millennio queste pratiche spirituali sono tutti, in qualche modo, legati alla tradizione Yogini.
Sri Dhanendri - foto di Raju-Indore.
Sri Dhanendri – foto di Raju-Indore.
I primi racconti degli europei sulle Yogini erano concentrati sui loro aspetti terribili: come scrisse Miranda Shaw in “Dee buddhiste” o David Gordon White in “Bacio delle Yogini” e “Yoginis, divinità o … folletti?
Nella sua relazione del 1862-1865 per la Soprintendenza Archeologica dell’India, il direttore generale Alexander Cunningham, a proposito del tempio yogini di Khajaraho, ha scritto: “Chaonsat Yogini sembra essere il più antico tempio di Khajaraho. Unico per posizionamento è anche il solo in granito, mentre per tutti gli altri sono state utilizzate le cave di arenaria sulla riva orientale del fiume Kane. Le Joginis o Yogini, sono folletti femmina che obbediscono a Kali, la terribile dea della distruzione.
Quando si svolge una battaglia, si dice corrano freneticamente per il campo con le loro ciotole per raccogliere il sangue degli uccisi, che tracannano con piacere. Nel Chandrodaya Prabodha sono chiamate “spose dei demoni che danzano sul campo di battaglia.
Per questa loro connessione con la dea Kali che beve sangue, è probabile che il tempio originariamente potrebbe essere stato dedicato a Siva, ipotesi che è in parte confermata dalla posizione di un piccolo santuario di Ganesha sullo stesso costone roccioso immediatamente di fronte l’ingresso. Ma poichè i bramini del posto affermano che la dedica di un tempio alle Yogini garantisca la vittoria a chi lo costruisce, è possibile che questo tempio mantenga il suo nome originale“.
Vans Kennedy nella sua “Mitologia indù” (p. 490) cita i nomi di sei Yogini: Brahmi, Maheswari, Kaumari, Vaishnavi, Varahi, Mahendri, tutte chiamate da Siva a divorare la carne e bere il sangue del grande Daitya Jalandhara.
Da questo punto di vista, ci si potrebbe aspettare di trovare numerosi templi dedicati alle Yogini, in quanto molti condottieri sarebbero stati disposti a propiziarsi la vittoria in questo modo. Ma poiché questo è l’unico santuario di queste dee che ho trovato, sono propenso a dubitare della tradizione, e ad attribuire il tempio a Durga o Kali, la consorte di Siva.
– Le donne di Angkor Wat possono essere Yogini?
Angkor Wat: Devata dalla parete est del Gopura Occidente.
Angkor Wat: Devata dalla parete est del Gopura Occidente.
In contrasto al nulla tramandato sulle donne di Angkor Wat, note anche come Devata o Apsara, è rimasta una notevole quantità di informazioni scritte per quanto riguarda le Yogini dell’India.
Le Devata risultano tutte certamente molto più riservate nel loro comportamento e quindi potrebbero rappresentare solo gli aspetti più dolci del pantheon Yogini.
Le donne di Angkor Wat non mostrano attributi orribili o soprannaturali. In realtà appaiono del tutto normali, prive di zanne, aloni, occhi in più, ali o altre caratteristiche terribili e fantastiche.
Nessuna, infatti, appare come Sakti, la manifestazione femminile di un dio, a volte visto con la testa di animale, cinghiale, toro, cavallo o leone.
Né le donne di Angkor Wat sfoggiano collane o coppe fatte di teschi umani, oppure scheletri o armi tra i loro ornamenti.
Tutte le Devata di Angkor Wat sono in piedi in posa dignitosa con entrambi i piedi ben saldi a terra. Nessuna è seduta. Solo un paio assumono posizioni che possono essere associate alla danza.
Eppure, raffigurate in un tempio, le donne di Angkor Wat, sembrano condividere qualcosa di divino con le loro sorelle Yogini. Alcune mostrano posizioni delle mani (mudra) simili, gioielli e ornamenti associati con piante e fiori dalla natura. Come gli ammiratori hanno osservato per secoli spesso sono molto attraenti.
Le donne di Angkor Wat sembrano rappresentare solo un rapporto armonioso con la natura, mentre le Yogini indiane evocano maggiormente l’intera gamma della creazione, compresi gli aspetti violenti.
Forse c’è una connessione tra questi due gruppi di donne straordinarie, ma non è immediatamente evidente. Un buon punto di partenza è quello di esaminare i templi Yogini indiani, utilizzando l’esempio specifico delle Yogini Chaunsat di Bheraghat Jabalpur.
La pianta del tempio Yogini a Bheraghat
La pianta del tempio Yogini a Bheraghat mostra il chiostro circolare con le 84 nicchie e il Gauri Sankara centrale, tempio dedicato a Shiva.
– I Templi Yogini
In India i bramini hanno a lungo ritenuto cheSangam, la confluenza di due fiumi, sia un luogo particolarmente sacro perché la commistione di due corsi d’acqua è considerata più efficace a lavare via i peccati.
Questo è il motivo per cui Bheraghat, dove si incontrano il Narbada e il Saraswati è un luogo di balneazione particolarmente santo.
Alto su una collina nei pressi della congiunzione dei due fiumi si trova il tempio circolare Yogini, il cui chiostro protegge il tempio di Gauri Sankara dedicato a Shiva.
La forma circolare è inusuale per i luoghi braminici, ma è la forma corretta per i templi dedicati alle Yogini Chaunsat (vale a dire 64 Yogini). Altri due templi Yogini di questa forma sono Hirapur e Ranipur-Jharial. Un quarto tempio yogini, Khajaraho, è oblungo. Tutti sono a cielo aperto.
Il santuario originario centrale fu eretto nel 1155 dC, il che lo rende contemporaneo ad Angkor Wat (1116-1150 dC). E’ stato costruito dalla Regina Kalachuri Alhanadevi durante il regno del figlio Narasimhadeva.
Nel tempio compaiono solo due statue maschili.
Tempio centrale
Il tempio centrale Gauri Sankara a Bheraghat, foto di Raju-Indore.
Il tempio Yogini Bheraghat, nel 1875 circa
Il tempio Yogini Bheraghat, nel 1875 circa.
– Le statue del tempio Yogini Bheraghat
Le statue nelle nicchie del chiostro di Bheraghat si mostrano in due posizioni: in piedi e sedute. Molte sono danneggiate e alcune sono scomparse del tutto. La maggior parte sono divinità a quattro braccia che, come hanno osservato gli antichi scrittori: “sono particolarmente notevoli per il formato del seno“.
Le prime relazioni caratterizzano la maggior parte di queste immagini come “Yoginis o demoni femminili che servono Durga“. Il tempio è, quindi, comunemente conosciuto come Yogini Chaunsat o “sessantaquattro Yogini”.
Otto figure sono identificate come Ashta Sakti, o energie femminili degli dei. Tre sembrano personificare i fiumi. Tutte le figure sedute sono Yoginis, ognuna è molto ornata e fatta di arenaria grigia.
Quattro figure femminili danzanti (n. 39, 44, 60 e 78) sono fatte di pietra arenaria violacea e sono molto meno ornate. Uno (n. 44) si pensa sia la dea Kali. Le altre sembrano essere altre forme di questa divinità.
Shiva e Ganesh (n. 15 e 1) sono le uniche due figure maschili.
Le statue di questo chiostro circolare possono essere divise in cinque gruppi distinti:
Saktis, comunemente nota come Ashta-Shakti                                8 statue
Fiumi: Gange, Jumna e Saraswati                                                   3
Dee danzanti: Kali, ecc                                                                    4
Dei: Shiva e Ganesh                                                                        2
Yoginis, o yogini chaunsat, (57 intatte, 7 perse)                            64
Totale                                                                                             81
Due ingressi (= 3 spazi)                                                                   3
Totale                                                                                            84 nicchie
sezione delle nicchie
In alto la sezione delle nicchie dove le 64 Yogini danzano intorno a Shiva, custodito nel tempietto centrale
statue delle Yogini nel tempio Gauri Sankara a Bheraghat
Le statue delle Yogini nel tempio Gauri Sankara a Bheraghat. Notate le notevoli dimensioni dei seni. Nell’immagine qui sotto la veduta frontale di una di queste 64 Yogini.
– Devata e Yogini
Yogini del tempio indiano di Gauri Sankara a BheraghatUn raffronto tra le raffigurazioni di: una Yogini del tempio indiano di Gauri Sankara a Bheraghat  (qui a fianco a destra); in basso, a sinistra: una Devata di Angkor Wat; in basso a destra una Yogini del tempio indiano di Hirapur situato nel distretto di Balaghat, nello stato federato del Madhya Pradesh, nell’India centrale.
sinistra una Devata - destra una Yogini
Kent Davis
direttore di DatASIA l’organizzazione specializzata in studi, pubblicazioni e lezioni sul sud est asiatico e responsabile di Devata.org  l’autorevole sito specialistico di ricerche interamente dedicato ad Angkor Wat in Cambogia.

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