Il sito di Chichén Itzá, dichiarato patrimonio dell’umanità UNESCO nel 1988, è a noi noto principalmente per la piramide a gradoni di Kukulkan – il nome Maya di Quetzalcoatl – per via dell’ombra proiettata a forma di “serpente piumato” lungo la scalinata posta a nord, che si verifica ogni anno agli equinozi di primavera e d’autunno, all’alba e al tramonto.
Conosciuta anche come El Castillo, fu realizzata tra l’XI e il XIII secolo, ed in cima alla quale si trova un tempio in cui è conservata una statua di Chac-Mool e un trono in pietra a forma di giaguaro.
Altrettanto noto, grazie al tanto atteso appuntamento del 2012 e a tutte le ipotesi e profezie ad esso legate, è che gli antichi Maya – di cui resta a testimonianza appunto il complesso archeologico in Messico, nella penisola dello Yucatan – erano sapienti astronomi.
Un altro importante edificio che si trova a Chichén Itzá è infatti un antico osservatorio astronomico “El Caracol” (la chiocciola) così chiamato per via della scala di pietra a spirale presente al suo interno.
La struttura dell’edificio è a pianta circolare con un diametro di 11 metri e si sviluppa al di sopra di una larga piattaforma quadrata. Frutto di più fasi costruttive, è un edificio a due piani, in cui la stanza superiore presenta sette strettissime finestre, orientate per le osservazioni astronomiche.
Il decoro esterno è di chiara ispirazione maya (mascheroni del dio della pioggia Chac e una forma umana circondata da piume) mentre il terrapieno sottostante mostra serpenti piumati e teste di guerriero attribuibili alla tradizione tolteca.
Ai margini di El Caracol sono poste delle ampie coppe di pietra che venivano riempite d’acqua.
Si pensa che l’osservazione delle stelle che vi si riflettevano aiutava gli astronomi Maya a determinare il loro complesso, ma estremamente preciso, calendario.
Il Prof. Giuliano Romano, libero docente in astrofisica, che è stato professore di Cosmologia e Storia dell’Astronomia all’Università di Padova, è autore del libro “I Maya e il cielo” (1999)
Durante la penultima serata di “A Cena sotto le Stelle” tenutasi a Cortina d’Ampezzo il 20 agosto 2012, ha illustrato le interessantissime scoperte archeo-astronomiche riguardanti l’astronomia del popolo Maya e il famoso “calendario di Venere“, pianeta che il popolo centro-americano venerava particolarmente.
Primo interesse degli astronomi Maya era il passaggio allo zenit del Sole, evento possibile per la loro latitudine: molte delle città Maya erano a sud della latitudine 23,5 gradi (altezza solare nel solstizio d’estate), dalle quali si poteva osservare il passaggio zenitale del Sole due volte l’anno.
Venere era per i Maya l’oggetto celeste di maggior interesse. Consideravano questo pianeta più importante del Sole. Osservarono Venere molto accuratamente:
- periodo di 584 giorni tra gli allineamenti (congiunzioni inferiore e superiore) Terra-Venere rispetto al Sole;
- periodo di 2922 giorni tra gli allineamenti Terra-Venere-Sole rispetto a delle stelle.
- Durante la congiunzione inferiore, Venere scompare per circa 8 giorni. Quando sorge dopo la congiunzione inferiore, primo oggetto visibile all’alba, si parla di sorgere eliacale.
- Venere raggiunge la massima brillantezza alla massima elongazione ovest, e si muove poi rapidamente verso il Sole con moto retrogrado. E quindi rimane visibile per circa 260 giorni nel cielo mattutino fino a quando raggiunge la congiunzione superiore (dalla parte opposta della Terra rispetto al Sole). Il pianeta diventa sempre meno brillante fino a tornare sotto l’orizzonte, e riapparire dalla parte opposta rispetto al Sole dopo circa 50 giorni. Sorge quindi come stella serale e permane nel cielo notturno per quasi 260 giorni, fino a che raggiunge la massima elongazione est con massima brillantezza, e andare nuovamente alla congiunzione inferiore.
Giuliano Romano asserisce che Venere avesse effetti psicologici sui Maya e le altre culture centro-americane e che i loro tempi di guerra erano basati sugli stazionamenti di Venere e Giove, avvalorando così le tesi di altri studiosi della civiltà Maya, i quali ci dicono che Venere era considerato dio della guerra.
I sacrifici umani avvenivano al momento della prima apparizione di Venere dopo la congiunzione superiore (momento di massima magnitudine, minima brillantezza) e avevano timore del primo sorgere eliacale dopo la congiunzione inferiore.
I Maya avevano un Almanacco (Codice di Dresda) con la descrizione dell’intero ciclo di Venere, suddiviso in cinque settori di 584 giorni, cioè 2920 giorni, approssimativamente 8 anni o 5 cicli venusiani.
Il video di seguito, realizzato da Fernando Ocampo, mostra una splendida animazione in cui alcuni allineamenti, dall’osservatorio Maya di Chichen Itza, sono tracciati rispetto al Sole e il pianeta Venere.
Attraverso simulazioni astronomiche al computer, una ricostruzione in 3D ricrea il cielo dall’osservatorio Chichen Itza ogni giorno.
L’effetto del movimento del Sole e Venere qui esemplificato, è stato ottenuto prendendo una “foto” del cielo ogni giorno alla stessa ora. Da queste immagini è stata creata una sequenza video a 30 fotogrammi al secondo, l’equivalente di un mese in circa un secondo.
Anche se sarebbe interessante sperimentare con fotografie reali, ai fini pratici è qui realizzato lo stesso esperimento con il computer.Proseguiamo con altre interessanti considerazioni del Prof. Giuliano Romano sulla conoscenza degli antichi astronomi Maya:
Nei calendari Maya c’era anche una componente lunare. I periodi lunari erano di 29 e 30 giorni alternativamente. Essendo il periodo sinodico della Luna di quasi 29,5 giorni, riuscivano a inserire la luna nei loro calendari senza difficoltà. Avevano cognizioni sui periodi lunari tali da poter predire le eclissi (Codice di Dresda).
I Maya descrissero l’Eclittica nei loro disegni come un Serpente a due teste. Non si sa esattamente come i Maya descrivessero le costellazioni dell’eclittica (Zodiaco). Sappiamo che parlavano di uno scorpione, equivalente al nostro Scorpione, nei Gemelli i Maya individuavano un maiale o un pecari (suino americano). Altre costellazioni dell’eclittica erano identificate come un giaguaro, almeno un serpente, un pipistrello, una tartaruga, un mostro xoc (squalo o mostro marino). Le Pleiadi erano assimilate alla coda di un serpente a sonagli, chiamato Tz’ab.
La Via Lattea era oggetto di forte venerazione, veniva chiamata Albero del Mondo, un albero fiorito molto grande e maestoso. Altro nome era Wakah Chan (Wak=sei, eretto; Chan=quattro, serpente, cielo). Gli ammassi nell’Albero erano visti come fonte di vita e particolare importanza aveva il punto dove la Via Lattea interseca l’eclittica, vicino al Sagittario. L’Albero comprendeva anche il mostro Kawak, un gigante. In cima all’Albero c’è il dio Uccello Principale o Itzam Ye. Veniva preso in considerazione anche il passaggio del Sole nella Via Lattea nel solstizio invernale .
Il periodo dei mesi invernali, quando la Via Lattea è ben visibile, era chiamato del Serpente dalle ossa bianche.
Via, via che emergono nuovi dati di ricerche e di studi, gli Antichi Maya si rivelano sempre più affascinanti. Appare dunque strano e discordante, ai nostri occhi, che una civiltà di tali conoscenze potesse al contempo praticare atroci sacrifici umani.
Probabilmente la superstizione o il credo religioso era anche allora, come oggi, motivo di insensati rituali.
O forse, ancora mancano elementi, magari solo un piccolo tassello, per stabilire con certezza se, gli astronomi, architetti, ingegneri e costruttori, fossero davvero appartenenti alla stessa civiltà dei riti sacrificali, e quindi potremmo essere noi ad avere una grossa lacuna di conoscenza storica che spiegherebbe una tale dissonanza.
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