[Focus] Nella giungla del Guatemala si trova la città Maya di El Mirador, capitale nel 600 a.C. del leggendario regno di Kan. La città era quasi una metropoli per l’epoca: 100 mila abitanti e una superficie di 39 chilometri quadrati.
Per i ricercatori le tracce di questa città sono importanti perché testimoniano che l’origine della civiltà Maya deve essere anticipata di un millennio rispetto a quanto pensato finora.
Il sito archeologico è raggiungibile solo dopo 3 giorni di cammino nella foresta, partendo dal villaggio di Carmelita. Quando è stata ritrovata, l’insediamento era completamente nascosto dalla foresta.
La città era un importante centro economico: El Mirador era collegata con molte altre città dell’area (in almeno 26 è stato ritrovato il simbolo dinastico del serpente del regno di Kan: il più vasto fra le antiche civiltà precolombiane) attraverso una rete di larghe strade ricoperte di calce bianca. Su di esse si muovevano uomini e merci: giada, alabastro, ossidiana, lana, ma anche cacao, mais e zucca.
Per i Maya questo sito era il mitico luogo delle origini, dove anche il re Pacal nel 638 pensava di andare dopo la sua morte, per ricongiungersi con tutte le altre divinità, poiché credeva di essere l’incarnazione del dio del mais.
El Mirador era piena di costruzioni di varie dimensioni. La più grande era la piramide chiamata “La Danta” (il tapiro) che con i suoi 800 metri di diametro basale (più di due campi da calcio) e i 72 metri di altezza (quasi 24 piani) è la prima al mondo per superficie (con un volume di 2,8 milioni di metri cubi) e la seconda in altezza dopo quella di Cheope in Egitto.
Ai piedi della piramide “La Danta” sono state trovate lame di ossidiana, fischietti e resti di tamburi. «Sono oggetti legati a riti» spiegano gli archeologi Paco Francisco López e Monica Chavarría. «Alla base dell’edificio stavano gli spettatori e i musici, e in cima i sacerdoti celebravano i riti. In particolari occasioni potevano essere sacrificate vittime umane».
Normalmente, però, si sacrificavano animali o si bruciava, come sostituto del cuore umano, un grumo di linfa dell’albero rosso di croton, il cui odore era gradito agli dèi.
La grande piramide fu costruita da migliaia di operai, fra il 300 e il 100 a. C. ed è un esempio di architettura triadica, cioè a 3 elementi: una cuspide centrale e due laterali più piccole che ricordano le stelle della cintura di Orione, simbolo della creazione celeste.
I Maya, del resto, erano esperti osservatori di astri: per loro (come racconta il testo sacro “Popol Vuh”) la creazione era frutto dell’accordo fra le grandi forze divine del cielo e del mare. E avevano un nutrito Pantheon di dèi e leggende, che raccontano temi a volte simili a quelli delle antiche civiltà occidentali.
Gli dèi ispiravano un timore reverenziale alimentato da sculture che li rappresentavano come mostri minacciosi, con fauci spalancate e artigli: se non si placavano con i sacrifici, si sarebbero vendicati e l’ordine naturale ne sarebbe stato sconvolto. Per i Maya, infatti, nel creato ogni cosa aveva il suo posto e, se l’equilibrio non veniva turbato, la pace e la prosperità sarebbero durate a lungo .
«Chi regnava su questa città non era un “primitivo” che viveva in una capanna, ma un sovrano paragonabile a Ramsete II d’Egitto» racconta Richard Hansen, antropologo dell’Università dell’Idaho (Usa), che ha lavorato agli scavi.
accademia delle scienze
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