mercoledì 25 novembre 2015

TEXAS: IL MISTERO DELL’IMMENSA STRUTTURA SOTTERRANEA DI ROCKWALL. TRACCE DI UNA PERDUTA CIVILTÀ DI GIGANTI?

Potrebbe diventare la prima prova concreta dell'esistenza di una civiltà antica altamente avanzata. L'immensa struttura sepolta scoperta a Rockwall, una cittadina del Texas si estende su un diametro di quasi 20 chilometri quadrati, affonda nel terreno per circa sette piani e potrebbe risalire a circa 20 mila anni fa. Chi ha potuto costruire un edificio tanto complesso e tanto antico?

texas struttura sotterranea gigante

Nel 1850, uno strano muro di pietra fu rinvenuto in una località poco distante da Dallas, nel Texas. La struttura diede il nome a quella che oggi è la cittadina di Rockwall (muro di pietra).
La gente del luogo è convinta che si tratti dei resti di una favolosa, quanto perduta civiltà antica. Alcuni geologi credono che si tratti di una bizzarra struttura naturale, dove ‘bizzarra’ è un aggettivo utilizzato quando si è a corto di una teoria valida o di un meccanismo noto per la sua creazione.
Effettivamente, l’immensa parete in roccia presenta delle caratteristiche che fanno supporre che si tratti di un’opera di origine artificiale, realizzata più di 20 mila anni fa. Essa si sviluppa in una struttura rettangolare con i lati minori pari a circa 3,5 chilometri di lunghezza, e i lati maggiori lunghi circa 5,6 chilometri.
Tra i primi coloni arrivati nella zona per stabilire una comunità agricola c’erano tre nuove famiglia appena arrivate: i Wade, i Boydston e gli Stevenson. Nel 1852, la famiglia Wade cominciò a costruire la sua casa ad est della valle del Trinity River. Durante lo scavo del pozzo della fattoria, il signor Wade scoprì una parete di roccia che si estendeva per molti metri sotto la superficie del terreno.
Pare che le tre famiglie fossero in contrasto tra loro perchè ognuna voleva dare il nome della propria famiglia al nuovo territorio colonizzato. Ma dopo aver scoperto il muro di roccia, unanimemente decisero di chiamare la colonia ‘Rockwall’, appianando le loro divergenze.
Come riportato dalle informazioni raccolte da Mary Pattie (Wade) Gibson, nipote del capofamiglia dei Wade, e oggi curatrice della Rockwall County Historical Foundation, ulteriori scavi eseguiti da suo nonno e altri uomini portarono alla luce una serie di cubicoli o stanze nelle quali si poteva agevolmente camminare.
Un lungo corridoio sembrava dirigersi verso una collina, come se si trattasse di una strada che sbocca in una piazza. Il soffitto del corridoio fu descritto con forti pendenze (tipo un soffitto a volta, molto simile a quelli costruiti dai Maya).
Il nonno di Mary Pattie scoprì che il muro si estendeva verso il basso, scendendo nel terreno per quasi quaranta metri. Il dato sembra confermato da un pozzo scavato nel 1897 da un certo sig. Deweese, pare che la struttura si estenda in profondità nel terreno quanto un palazzo di sette piani. Tuttavia, pare che lo scavo del sig. Deweese, si sia fermato prima di raggiungere il reale fondo della struttura.
Venerdì 28 maggio 1886, l’edizione del giornale locale di Rockwall County riportava il rinvenimento di manufatti nei pressi dello scavo e di strani crani giganti:
“La più grande meraviglia da registrare questa settimana è il ritrovamento di un teschio umano pietrificato. Sabato scorso, Ben Burton ha portato alla luce con il suo aratro quello che sembra essere un gigantesco teschio. I bulbi oculari erano grandi come un recipiente da due litri.
La scoperta dimostra che questa regione era un tempo abitato da una razza di persone che sarebbe davvero stupefacente da guadare oggi. Il dottor Wiggins stima che il cranio di un gigante antidiluviano possa valere almeno 1000 sterline. Chiunque vuole visionare il cranio può contattare il signor Burton, il quale lo mette a disposizione per qualsiasi ispezione”.
Il 4 giugno 1886, lo stesso giornale lancia un’altra notizia:
“Le meraviglie non cessano. Appena sopo la scoperta del cranio gigante da parte del signor Burton, una grande folla si è recata presso la proprietà del signor Grier per ascoltare il suono metallico sul fondo di un pozzo scavato nel suo terreno. Dopo aver rimosso il terreno, lo scavo a portato alla luce una camera enorme, con il tetto sostenuto da pilastri in marmo nero, i cui lati brillavano alla luce della lampada ad olio”.
Nel 1906 è riportato un incidente accaduto a due uomini non identificati mentre erano intenti a scavare nel corridoio. Il loro intento era quello di raggiungere una stanza o una cavità sotto la città, convinti che si trattasse di un locale pieno d’oro, idea apparentemente derivata da un’antica leggenda indiana.
Nel disinteresse totale dei geologi e degli archeologi, negli ultimi 100 anni alcune indagini sono state condotte dagli abitanti della regione interessati a capire se la struttura sia di origine naturale o artificiale.
Nel 1949, il signor Sanders di Fort Worth, Texas, ha realizzato uno scavo nei pressi della parete principale. La rimozione del terreno ha portato alla luce quattro grandi pietre dal peso di circa due tonnellate sulle quali sono state trovate iscrizioni che sembrano essere pittogrammi.
Il 5 novembre 1967, Frank X. Tolbert scavo nella sua fattoria, appena ad est della città di Rockwall, scoprendo il lato di una parete in muratura nella quale sembrava di scorgere un arco sopra una porta o una finestra.
Agli inizi degli anni ’70 venne scoperto un paio di curiosi anelli di metallo incastonato nel terreno. Gli anelli hanno rispettivamente un diametro di 15 e 30 centimetri circa.
Essi sono praticamente incorporati all’interno delle pietre che compongono la parte. Gli anelli sono stati analizzati e la composizione risulta essere una lega composta da stagno, titanio e ferro. Nessun ricercatore, al momento, è in grado di fornire una spiegazione su come siano finiti lì i due anelli.

Uno strano disinteresse

Benchè la struttura sia praticamente accessibile a chiunque e le scoperte sembrano decisamente interessanti, per un qualche motivo non chiaro, il sito non suscita interesse scientifico.
Certamente, esso pone alcune domande significative: si tratta di una parete artificiale o naturale? C’è un immenso sito archeologico sepolto sotto lo stato del Texas? Si tratta delle vestigia di una antica civiltà perduta? Oppure, si tratta semplicemente di un’altra meraviglia naturale alla quale i territori del nord America ci hanno abituato? Perchè nessuno si prende la briga di rispondere in maniera definitiva a queste domande?
«Il muro esposto è abbastanza spettacolare quando lo si vede per la prima volta», racconta Randall Moir, un archeologo di Dallas, dei pochi scienziati che si è recato sul posto. «Determinare la sua origine, la genesi e l’età offre una serie di opportunità di ricerca emozionanti che possono certamente avanzare la nostra comprensione di questo tipo di fenomeni. Il fatto decisivo, tuttavia, è che i geologi in realtà non conoscono i processi precisi che possono portare a formazioni di questo tipo, quindi uno studio sistematico e dettagliato sarebbe opportuno anche se si trattasse solo si un fenomeno naturale».
Ma c’è anche chi è convinto che la struttura di Rockwall potrebbe essere i resti di una qualche antica civiltà a lungo sconosciuta. E se è così, chi erano gli uomini che l’hanno costruita e per quale scopo? Potrebbe essere la conferma, insieme agli scheletri tovati nel Winsconsin, che il nord America è stato un tempo abitato da una progenie di giganti? E chi erano costoro?

giovedì 19 novembre 2015

DESERT BREATH: I MISTERIOSI CONI A SPIRALE NEL DESERTO EGIZIANO

Una stranezza geologica? Una città aliena recentemente scoperta? Un cerchio nel grano di sabbia? Questi strani coni e buchi nel terreno sembrano essere un curioso fenomeno esoterico comparso nell'arido deserto d'Egitto. La spiegazione ufficiale è molto semplice, eppure qualcuno sospetta che c'è dell'altro.

Desert Breath

Cosa sono questi misteriosi coni disposti a spirale su di una superficie di 10 mila metri quadrati, posti nel deserto del Sahara orientale, al confine tra il Mar Rosso e l’Egitto?
Chi c’è dietro questa misteriosa formazione? Quando è stata costruita? E qual è, o qual è stato, lo scopo dell’enigmatica configurazione a spirale di questi 89 coni?
Benché la mente corra subito nell’individuazione di una qualche spiegazione esoterica e misteriosa, fughiamo immediatamente ogni perplessità spiegando che la configurazione nota come “Desert Breath” (Respiro del Deserto) è un’istallazione artistica! Sì, un’opera d’arte.
L’autore di questa enigmatica opera è l’artista greca Danae Stratou che insieme al suo team artistico DAST ha creato Desert Breath intorno alla metà degli anni ’90, impiegando diversi anni per portare il progetto a completamento.
Nonostante l’opera sia stata terminata nel 1997, a distanza di quasi 17 anni, Desert Breath esiste ancora. Nell’idea del suo creatore, l’opera deve subire la disintegrazione lenta da parte degli agenti atmosferici, così da diventare uno strumento per ricordare il trascorrere inesorabile del tempo.
La costruzione di Desert Breath ha richiesto lo spostamento di quasi 8 mila metri cubi di sabbia, in modo da precisi volumi conici positivi e negativi.
I coni formano due spirali ad incastro che si muovono verso l’esterno partendo da un centro comune, con una differenza di fase di 180° gradi nella stessa direzione di rotazione. Al centro è posto una grande vasca dal diametro di 30 metri, la quale normalmente è ripiena d’acqua fino al bordo.

Ma perchè?

Alcuni blogger si sono chiesti il perché di un dispendio di energie e risorse per un progetto artistico decisamente sproporzionato rispetto al suo scopo e del tutto inaccessibile alla contemplazione dei visitatori, dato che richiede di avventurarsi nel deserto del Sahara. In realtà, non si riesce neanche a capire bene chi sia stato a finanziare l’immensa opera d’arte.
Secondo quanto scrivono gli autori sul sito ufficiale del gruppo, il deserto rappresenta per gli artisti il luogo dove si sperimento l’infinito. Nelle tradizioni mistiche delle religioni semitiche, (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) il deserto rappresenta il luogo dell’incontro con la divinità: il deserto è il luogo della ‘teofania’, della manifestazione di Dio.
Inoltre, è interessante sapere che nella mitologia egiziana esistesse una divinità di nome Sekhmet, originariamente considerata come la dea guerriera dell’Alto Egitto.
Veniva raffigurata come leonessa o come una donna dalla la testa leonina (come la sfinge di Giza), ed a partire dalla XVIII dinastia acquisì anche i simboli divini quali il disco solare e l’ureo, una decorazione a forma di serpente posta, in origine, ai lati del disco solare e successivamente sul copricapo dei sovrani egizi.

Figlia di Ra, Sekhmet era membro della triade come sposa di Ptah e madre di Nefertum, prendendo anche l’epiteto di “La grande, amata da Ptah”.
Era la terribile dea della guerra che impersonificando i raggi dal calore mortale del sole incarnava il potere distruttivo dell’astro ma anche l’aria rovente del deserto i cui venti erano il suo alito di fuoco e con i quali puniva i nemici che si ribellavano al volere divino. Rappresentava anche lo strumento della vendetta di Ra contro l’insurrezione degli uomini imponendo l’ordine del mondo.
Portava morte all’umanità ma era anche la dea protettrice dei medici come citano i papiri medici Ebers ed Edwin Smith ed i suoi sacerdoti, molto potenti erano spesso chiamati per la cura di patologie ossee, quali le fratture.
Più di cinquecento statue della dea sono state trovate nel tempio di Karnak, fatte erigere da Amenofi III per non inimicarsi la crudele dea. Era temuta persino nell’Aldilà dove il malvagio Seth ed il serpente Apopi venivano sconfitti dalla dea che abbracciava con le sue spire di fuoco Ra nel suo viaggio notturno.
Le tradizioni raccontano che Sekhmet avesse creato il deserto tramite il suo respiro, da qui il nome di Desert Breath.
L’istallazione potrebbe essere stata realizzata come memoria di un passato remoto, quando l’umanità viveva in compagnia degli dei? Ovvero, quelli che secondo i teorici degli Antichi Astronauti erano viaggiatori non terrestri che hanno influenzato il normale percorso evolutivo dell’uomo?

La Spirale Sacra

Qualche tempo fa, il Crop Circle Wiltshire Study Group ha pubblicato un articolo nel quale si analizzava la struttura a forma di spirale, comparandola con due Crop Circles comparsi rispettivamente nel 1994 nel West Stowell (Galaxy formation), e nel 1996 sulla Windmill Hill (Fractal formation).
Anche in questo caso, l’accento è posto sulla sacralità dei simboli posti nell’opera d’arte. In particolare l’attenzione si rivolge al significato della spirale, uno dei simboli più antichi che il genere umano abbiamo conosciuto.
Cosa hanno in comune una galassia, l’accrescimento biologico di alcune specie animali, la spaziatura tra le foglie lungo uno stelo e la disposizione dei petali e dei semi di girasole? Tutti questi presentano schemi riconducibili a quello della sezione aurea e alla “spirale logaritmica” detta anche “spirale aurea”.
In un articolo precedente, abbiamo segnalato come sin dai tempi più antichi, ha sempre suscitato una grande meraviglia l’esistenza della “Sezione Aurea”, o anche detta “Proporzione Divina”, espressione coniata da Frà Luca Pacioli, frate e matematico del XV secolo, con la quale si esprime un rapporto proporzionale esistente in natura e sulla quale sembrano essere modellate tutte le cose. Nei megaliti di Stonehenge, le superfici dei due cerchi concentrici di pietre stanno tra loro nel rapporto di 1,6; la piramide egizia di Cheope ha una base di 230 metri ed una altezza di 145: il rapporto base/altezza corrisponde a 1,58 molto vicino a 1,6; anche nella progettazione della Cattedrale di Notre Dame a Parigi e del Palazzo dell’ONU a New York sono state utilizzate le proporzioni del rettangolo aureo.
Molti ricercatori credono che la spirale sia l’antico simbolo che rappresentava la civiltà di Atlantide. E’ possibile che i creatori dell’opera abbiano tenuto in considerazione queste proporzioni ‘divine’ quando hanno voluto creare l’opera?

mercoledì 11 novembre 2015

Piramide di Cheope, egittologi in fermento: anomalie termiche

Sulla superficie nei pressi del suolo: cosa si cela all’interno?
Il Cairo – Il mistero delle piramidi che da secoli cattura le fantasie e l’emozione degli uomini si apre su un nuovo scenario.


Questa volta si tratta di alcune anomalie termiche riscontrate sulla superficie di quattro piramidi del Cairo, tra cui quella di Cheope.

Sono i primi risultati delle analisi termiche effettuate sulla base della missione “Scan Pyramids”, lanciata il 25 ottobre scorso da un équipe di ricercatori egiziani, francesi giapponesi e canadesi, che aprono la strada a una molteplicità di possibili interpretazioni.
Anomalie termicheGrazie a una tecnologia agli infrarossi hi-tech e a scanner ultra sofisticati, i ricercatori hanno potuto sondare le piramidi di Cheope e Chefren, che con quella di Micerino si ergono nella piana di Giza, e le due di Dahchur, a sud del Cairo.
Gli scienziati, si legge in un comunicato della missione di ricerca, hanno notato una quantità di anomalie termiche su tutti i monumenti esaminati ma una di queste, soprattutto, è considerato particolarmente impressionante. Si trova sulla superficie della piramide di Cheope, vicino al suolo. Come ha spiegato il ministro alle Antichità egiziano Mamdouh Eldamaty.
“Questa zona segnala una temperatura diversa. Che cosa potrebbe celarsi all’interno di questo tempio funerario? È una domanda che intriga tutti gli egittologi, soprattutto quelli interessati all’architettura egizia”, ha sottolineato Eldamaty .
La temperatura della superficie della piramide è più o meno omogenea a parte questi tre blocchi su cui la temperatura è di 6 gradi superiore a tutto il resto. Come si può notare osservando le immagini delle telecamere termiche dove appaiono dei colori caldi mentre il resto del monumento è caratterizzato da tinte fredde che spaziano dal blu al magenta.
Le ragioni di queste anomalie restano ancora sconosciute ma già gli incauti favoleggiano di camere segrete all’interno delle quali potrebbe celarsi una tecnologia avanzatissima quanto misteriosa. Il progetto di ricerca continuerà sino alla fine del 2016 e rappresenta un nuovo tentativo per cercare di chiarire il segreto che ancora circonda, da oltre 4.000 anni, la costruzione delle piramidi. Possibilmente con il permesso di Tutankhamon e Nefertiti, onde evitare una nuova ondata di vere o presunte maledizioni di cui il mondo, e il Medioriente in particolare, non sembrano proprio avere alcun bisogno. (Immagini Afp)

BIMINI ROAD: LA PROVA CONVINCENTE DELL’ESISTENZA DI ATLANTIDE? LA STRADA DI PIETRA CHE DIVIDE GLI SCIENZIATI

Una lunga fila di pietre sommerse al largo delle Bahamas divide i ricercatori: si tratta di una bizzarra formazione naturale, oppure è parte di un'antica costruzione collocabile tra i 10 mila e i 20 mila anni fa?


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Bimini Road è il nome dato ad una curiosa fila di pietre sommerse scoperta nel 1968 al largo delle coste delle Bimini, un gruppo di isole che compongono l’arcipelago delle Bahamas.
Fin da quando fu individuata, la strana composizione rocciosa ha separato gli scienziati in due schieramenti contrapposti: da un lato ci sono coloro che affermano che si tratta semplicemente di una bizzarra formazione naturale, dall’altra ci sono coloro che affermano che le rocce potrebbero essere i resti di una strada appartenuta ad una antica città esistita tra i 12 mila e i 29 mila anni fa.
Chiaramente, l’affermazione di coloro che vedono in Bimini Road una costruzione artificiale, con le loro conclusioni sfidano la comprensione convenzionale sullo sviluppo delle civiltà evolute, che secondo gli antropologi sono comparso solo 5 mila anni fa.

La scoperta

Il 2 settembre del 1968, durante le immersioni in uno spazio di mare non troppo profondo (circa 6 metri) al largo della costa nordoccidentale di North Bimini, J. Manson Valentine , Jacques Mayol e Robert Angove si imbatterono in quello che parve immediatamente come una pavimentazione, composta da numerose pietre arrotondate di varie dimensioni e spessore.
La pavimentazione, diventata poi famosa con il nome di ‘Bimini Road’ o ‘Bimini Wall’, mostrava un elemento lineare nord-est-sud-ovest. Dopo la sua scoperta, la formazione rocciosa è stata visitata ed esaminata da geologi, archeologi professionisti e amatoriali, antropologi, ingegneri marini e innumerevoli subacquei.
Poco distante da Bimini Road, successivamente gli esploratori hanno trovato altre due estensioni lineari tipo ‘marciapiede’, posizionate parallelamente alla formazione rocciosa. La ‘pavimentazione’ si estende per circa 0,5 chilometri, con una pronunciata curva nella sua estremità sudoccidentale.
Si compone di blocchi di pietra con una misura media di 2-4 metri. I blocchi più grandi mostrano bordi complementari che mancano nei blocchi più piccoli.
I blocchi sono costituiti di pietra calcarea e mostrano angoli fortemente arrotondati, fenomeno dovuto all’erosione lenta e inesorabile del movimento delle acque, il che ha compromesso anche la possibilità di trovare eventuali segni di lavorazione o iscrizioni.
Il problema della datazione
I tentativi eseguiti per tentare di determinare l’età di questa curiosa formazione ha richiesto l’utilizzo di tecniche diverse, con risultati non sempre coerenti.
Nel 1979, il laboratorio gestito dal Dipartimento di Geologia presso l’Università di Miame eseguì la datazione su alcuni campioni raccolti nel 1977. I risultati indicavano un’antichità compresa tra un massimo di 3500 anni a un minimo di 2700 anni.
La datazione è coerente con l’antichità delle sabbie delle Bahamas, formatesi per lo più da gusci e conchiglie marine nello stesso periodo. I risultati sembravano sostenere il parere di coloro che vedevano in Bimini Road una semplice, seppur bizzarra, formazione naturale.
Tuttavia, i sostenitori dell’ipotesi artificiale non si sono dati per vinti e hanno contestato i risultati delle analisi, affermando che i campioni utilizzati non sono validi perchè contaminati da materiale biologico più recente, certamente coerente con le sabbie delle Bahamas.
Due studiosi, Gifford, J.A., e M.M. Ball, nel 1980 hanno pubblicato uno studio ( Investigation of submerged beachrock deposits off Bimini) pubblicato sul National Geographic Society Research Reports, nel quale venivano riportati i risultati di nuove analisi eseguite su campioni di roccia più interni, rivelando un’antichità di 15 mila anni, con uno scarto di ±300 anni.
Ma ritenendo ognuno dei due schieramenti i risultati che sostengono la propria ipotesi, le nuove analisi finirono per acuire lo scontro teoretico. Il dottor Eugene Shinn, geologo in pensione dell’U.S. Geological Survey liquida come ‘New Age’ l’idea che una cultura avanzata abbastanza da poter costruire una struttura del genere sia esistita in quella regione in un tempo tanto remoto.
In uno studio pubblicato nel 2005, il dottor Greg Little bolla come ‘ridicole’ le affermazioni di Shinn. “Non mi aspetto che uno qualsiasi degli scettici possa cambiare la sua opinione o anche prendere in considerazione eventuali alternative alle loro granitiche convinzioni”, scrive Little.
“Tutte le idee contrarie alle loro credenze probabilmente vengono percepite come una minaccia professionale e psicologica”, continua il ricercatore. “Nella lunga storia della scienza si possono trovare numerosi esempi di convinzioni largamente diffuse che sono poi state smentite dalla ricerca. Ma anche di fronte a prove incontrovertibili molti cosiddetti scienziati si rifiutano di accettare che le loro convinzioni sono errate”.
E se fosse realmente artificiale?
A convincere molti ricercatori ‘non ortodossi’ del fatto che Bimini Road sia stata costruita da una civiltà antidiluviana, ci sono altri due fattori, uno geografico e uno più ‘esotico’.
Le isole Bahamas si trovano su quello che è considerato il lato sudoccidentale del cosiddetto ‘Triangolo delle Bermuda’, una porzione dell’oceano scenario di molti fenomeni fisici non del tutto spiegati e dove sul fondo si troverebbe una gigantesca piramide, reperto importantissimo della famosa Civiltà di Atlantide.
Tanto basta a far considerare la formazione di Bimini come una struttura facente parte di un complesso monumentale molto più ampio, andato distrutto nel cataclisma globale di 13 mila anni fa che, come credono in molti, ha cancellato la civilizzazione atlantidea diffusa su tutto il pianeta.
Inoltre, i sostenitori dell’ipotesi atlantidea sottolineano che non si possono ignorare le intuizioni di Edgar Cayce, un noto sensitivo americano vissuto tra il 1877 e il 1945, il quale nei scritti predisse che Atlantide sarebbe stata scoperta poco distante dalla costa di North Bimini. Sorprendentemente, nel 1968 fu scoperta quella che sembra essere una vera ‘strada’ sommersa proprio nell’area indicata da Cayce.
Comunque, al di là delle convinzioni personali e delle teorie più esotiche che si possono elaborare, non c’è dubbio che le rocce di Bimini rappresentino una sfida per la scienza, sia se la si consideri una formazione naturale, in quanto si tratta di una vera e propria bizzarria della natura, sia se la si consideri un reperto archeologico, tanto antico da costringere a rivedere la storia della civilizzazione umana.
Tuttavia, le ultime ricerche in campo archeologico confermano sempre più che la civilizzazione umana sia cominciata molto prima di quanto sia stato fino ad oggi creduto, quindi l’ipotesi artificiale di Bimini Road si innesta in maniera abbastanza coerente con il nuovo quadro che sta emergendo.
“Per ovvie ragioni, gli archeologi tradizionali hanno evitato Bimini Road come se fosse infettata da un virus mortale”, scrive il dottor Little. “Le loro opinioni sono condizionate più dalle loro convinzioni che dall’evidenza delle analisi di laboratorio”.

venerdì 6 novembre 2015

ORME DI ANTICHE DIVINITÀ VENUTI DAL CIELO? NE È CONVINTO UN GEOLOGO INDIANO

La mitologia indiana tramanda che le divinità Rama e Lakshmana, trascorsero diverso tempo in questa regione in cerca di Sita, la moglie di Rama, rapita dal diavolo. "Potrebbero essere state realizzate dalle popolazioni locali, a futura memoria della visita delle divinità".


Un curioso ritrovamento avvenuto in un villaggio al centro dell'India ha alimentato molte discussioni in rete, secondo le quali un paio di orme e un misterioso oggetto volante incisi nella roccia potrebbero essere indizi di antichi astronauti atterrati in tempi remoti.
Nel villaggio di Piska Nagri, nello stato indiano di Jharkahnd, il geologo Nitish Priyadarshi sta studiando alcune grandi orme incise in una roccia che, secondo la tradizione locale, indicano la visita di 'antichi dei venuti dal cielo'.
Le incisioni si trovano su una grande roccia e sembrano riprodurre la sagoma di un paio di sandali di legno, calzature comunemente indossate migliaia di anni fa nella regione. Alcune paia di impronte misurano quasi 30 centimetri di lunghezza, mentre altre arrivano a circa 25 centimetri.
La mitologia indiana tramanda che le divinità Rama e Lakshmana, trascorsero diverso tempo in questa regione in cerca di Sita, la moglie di Rama, rapita dal diavolo. La vita e le imprese eroiche di Rama sono narrate nel Ramayana, un antico poema epico in sanscrito, che letteralmente significa "Il viaggio di Rama".
Priyadarshi ha spiegato che le impronte si trovato su una roccia di granito e che, quindi, probabilmente sono state scolpite piuttosto che impresse nella sostanza dura: "Potrebbero essere state realizzate dalle popolazioni locali, a futura memoria della visita delle divinità".
Accanto alle impronte c'è un'altra interessante immagine che ha attirato l'attenzione di Priyadarshi: l'incisione di un misterioso oggetto volante.
"Le impronte e l'oggetto volante si trovano sullo stesso lato del masso", continua il geologo. "Forse vuole indicare che i due dei hanno raggiunto questo luogo a bordo di un oggetto volante".
Come spiegato dall'Epoch Time, l'età delle impronte non è stata ancora accertata. "Se consideriamo l'erosione degli agenti atmosferici, possiamo ipotizzare che le incisioni siano state realizzate migliaia di anni fa", dice Priyadarshi.
Altre impronte
Ma quello indiano non è un caso isolato. In altre parti del mondo sono state rinvenute altre impronte giganti che per gli studiosi rappresentano ancora un enigma insoluto. Nel settembre del 1925, ad esempio, James Higgins rinvenne delle orme di piedi giganti in una roccia del Busy Peak, negli Stati Uniti.
Nel mese di ottobre del 1926, l'Oakland Tribune riportava la notizia di una scoperta fatta dal professor George Davis Louderback, geologo dell'Università della California.
Il ricercatore rinvenne un paio di orme su una scogliera nei pressi di San Josè, le quali misuravano circa un metro e mezzo di lunghezza.
Nel 1976 la famosa antropologa e archeologa inglese Mary Leaky scoprì in Tanzania 70 impronte umane impresse nella pietra, nel sito noto come le 'Piste di Laetoli'.
La Leaky disse che le orme sembravano appartenere ad esseri umani moderni, il che creava un grosso problema: le depressioni si trovavano uno strato datato circa 3, 6 milioni di anni.
Secondo la teoria dell'evoluzione, nessun essere umano moderno sarebbe potuto esistere in un tempo tanto remoto. E allora, cosa succede quando una prova non sostiene una teoria?
Nonostante la dichiarazione di Maria Leaky sul look moderno delle impronte, gli scienziati si misero al lavoro per la ricerca di una spiegazione alternativa che si adattasse all'evoluzionismo.
Alcuni dissero che le orme sembravano appartenere ad un ominide non ancora scoperto; altri ipotizzarono che fossero di una creatura completamente diversa. Alla fine, conclusero che le orme appartenessero ad una creatura, tipo Lucy, a cavallo tra la scimmia e l'essere umano. Fine della storia.
Infine, l'anno scorso, l'esploratore Michael Tellinger ha rinvenuto un'impronta gigante lunga circa 1, 2 metri in una roccia di granito vicino Mpuluzi, Sudafrica.
Anche in questo caso, la roccia sarebbe antica di circa 3 milioni di anni. Ma le impronte scoperte da Priyadarshi sono differenti. Esse sembrano appartenere a qualcuno che indossava delle calzature, tipo sandali.
Queste scoperte, insieme a molte altre, hanno dato il via ad un crescente interesse, da parte di alcuni ricercatori, volto a scoprire nuovi indizi che possano provare l'esistenza di grandi omini nel passato del nostro pianeta.
"Viviamo in un mondo tecnologico altamente avanzato, ma ci sono comunque moltissimi misteri intorno a noi", dice Priyadarshi. "Antichi luoghi ed esseri misteriosi, mondi e culture sommerse, paesaggi intrisi di simbolismo, apparizioni inspiegabili e incredibili reperti antichi. Nonostante le indagini approfondite, rimangono enigmi senza risposta".




LE MISTERIOSE STRUTTURE A CUPOLA DELLA SIBERIA: UN SISTEMA DI DIFESA DI UN ANTICA CIVILTA' ?

Strutture misteriose vengono riportate nelle leggende della popolazione siberiana e nei diari dei primi esploratori dell'estremo oriente della Russia. Chi ha dimorato in queste cupole riporta perdita di capelli e strane ustioni sul corpo. Secondo qualcuno, si tratta di un sistema di difesa che potrebbe aver distrutto anche il meteorite di Chelyabinsk nel febbraio del 2013.

Uliuiu Cherkechekh

La Repubblica di Yakutia (conosciuta anche come Jakutia o Sakha), si trova nella Russia nord-orientale (Siberia), a sud della tundra artica in Russia ed è conosciuta come il luogo abitato più freddo del pianeta Terra.
E’ qui che si trova la taiga siberiana, un vasto tratto di foresta di conifere prevalentemente arido, completamente incontaminato e inesplorato come la giungla amazzonica, e che si estende su un territorio disabitato per più di 100 mila chilometri quadrati nella parte occidentale della Yakutia.
Privo di qualsiasi tipo di strada, il territorio è in gran parte coperto da una fitta foresta, con numerosi alberi sradicati, vaste paludi e consistenti sciami di zanzare. Praticamente, lo scenario ideale per l’ambientazione di miti e leggende su strane creature e fatti misteriosi.
E’ proprio in queste terre che, secondo i racconti locali, dimorerebbe ilChuchuna, la creatura umanoide conosciuta anche come Yeti o Big Foot. Ma c’è un mistero più affascinante che avvolge la Valle della Morte.
Nei pressi del bacino superiore del fiume Viliuy, c’è una zona difficile da raggiungere che porta i segni di un tremendo cataclisma avvenuto circa 800 anni fa e che ha sradicato quasi l’intera foresta, spargendo frammenti di roccia per centinai di chilometri quadrati.
Il nome antico di questa zona è Uliuiu Cherkechekh, che si traduce, appunto, come Valle della Morte, dato che per gli abitanti del luogo chi si avventura questa zona difficilmente può uscirne vivo.
Secondo i racconti degli abitanti locali, l’intera area sarebbe piena di strane e innaturali strutture metalliche a forma di cupola, situate in profondità nel permafrost e rilevabili in superficie a causa del loro colore visibilmente in contrasto con le vegetazione naturale.
I cacciatori nomadi solitari hanno descritto le cupole come delle grandi case di ferro (kheldyu) impiantate nel terreno perennemente ghiacciato. Sembra siano fatte di un metallo simile al rame nell’aspetto ma, a differenza del rame, non può essere scalfito o danneggiato. Nessuno è mai stato in grado di tagliare anche un frammento.
Alcune di queste caldaie – la forma ricorderebbe quella di una pentola capovolta – hanno un’apertura sulla parte superiore, con una scala a chiocciola che conduce fino a una galleria circolare con diverse camere interne. Nonostante i 40° gradi esterni, i cacciatori affermano che gli interni risultano essere piacevolmente caldi.
Gli anziani del luogo chiamano le enigmatiche strutture olgius, ma ne ignorano l’origine. Le leggende fanno risalire la loro costruzione ai demoni della taiga, Niurgun Bootur e Tong Duurai.
Inoltre, sanno molto bene quanto sia pericoloso avvicinarsi alle strutture metalliche. Si riportano, infatti, alcuni degli effetti che le caldaie hanno sulla vegetazione circostante e sul corpo delle persone che hanno stazionato nei loro pressi per troppo tempo.
Alcune storie raccontano di alcuni audaci cacciatori che avrebbero passato la notte in queste stanze metalliche, utilizzandole come rifugio. Una volta tornati tra la loro gente, i cacciatori sembravano aver contratto una strana malattia, e coloro che vi avevano trascorso più di una notte di fila, presto morirono. Per questo motivo, gli anziani delle tribù locali hanno dichiarato queste zone maledette, e quindi proibite.

Storie recenti

Esistono storie recenti di viaggiatori che si sono avventurati nella Valle della Morte,  imbattendosi nelle misteriose cupole. In epoca antica, la zona era parte di un percorso utilizzato dal popolo nomade degli Evenchi, che partiva daBodaybo fino ad arrivare sulla costa del Mare di Laptev e  l’esistenza dellecupole maledette era nota a loro soltanto.
La prima testimonianza indiretta delle cupole risale al 1853, quando Richard Maack, il noto esploratore, antropologo e geografo russo, uno dei primi ad avventurarsi nella lontana Russia orientale e nella Siberia, riporta nei suoi resoconti:
A Suntar, un insediamento Yakut mi è stato detto che nel corso superiore del fiume Viliuy si trova un enorme cupola di metallo affondata nel terreno. […] La sua dimensione è sconosciuta in quanto è visibile solo il cerchio che emerge dal terreno.
Qualcosa di simile verrà affermato 1989 da D. Arkhipov, antropologo esperto delle cultura Yakut:
Tra la popolazione del bacino del Viliuy esiste una leggenda che risale ai tempi antichi e che narra dell’esistenza, nella parte alta di quel fiume, di enorme cupole di bronzo o olguis.
Nel 1936, lungo il fiume Olguidakh (che significa luogo del calderone), un geologo incaricato dagli anziani indigeni si imbatté in quello che aveva tutta l’area di essere una enorme cupola di metallo liscio, di colore rossastro, sporgente dal suolo e con un bordo talmente affilato da tagliare la carta. Le pareti dell’oggetto erano spesse circa due centimetri e, secondo la relazione ufficiale, era possibile vedere l’interno della cupola attraverso un foro posto sulla parte posteriore.
Nel 1979 una spedizione archeologica partita da Yakutsk cercò di individuare il luogo descritto del geologo, ma i mutamenti del territorio e della vegetazione avvenuti in più di quarant’anni non consentirono di ritrovare l’oggetto misterioso. Inoltre, come spiegano gli abitanti del luogo, data la fitta vegetazione, nella foresta si può passare a 3 metri da qualcosa senza nemmeno notarla.
Tra i resoconti più accurati, c’è quello di Mikhail Korecky da Vladivostok, il quale nel 1996 inviò una lettera al quotidiano Trud dove affermava di essere stato nella Valle della Morte per ben tre volte.
La prima fu nel 1933, quando aveva 10 anni; la seconda nel 1937 e infine nel 1947 con alcuni amici. Korecky affermava di aver individuato sette cupole tra i 6 e i 9 metri di diametro.
Nell’ultima visita alle cupole, Korecky e i suoi amici trascorsero la notte in una di esse. Benché quella notte non successe nulla di particolare, nei giorni a seguire uno dei suoi compagni si trovò a perdere quasi tutti i capelli, mentre Korecky sviluppo due piccole pustole sulla guancia che non si sono mai più rimarginate.
Nel 1971, un vecchio cacciatore evenchi, affermò di aver trovato una tana di ferro nel terreno, dentro la quale aveva notato i corpi di strani esseri con un occhio solo, vestiti con una sorta di costume di ferro. Benché si fosse reso disponibile ad accompagnare chiunque volesse a visitare il misterioso sito, nessuna delle autorità volle credere al suo racconto.

Strani fenomeni nella Valle della Morte

Le leggende Yakuy sulla Valle della Morte contengono molti riferimenti a esplosioni, trombe d’aria e sfere di fuoco fiammeggianti che volteggiano in aria.
E tutti questi fenomeni, in un modo o nell’altro, sono connessi con le misteriose strutture di metallo che si trovano nella valle. Si narra che, all’inizio del secolo scorso, fu vista una sfera di fuoco incandescente emergere dal foro principale di una delle cupole e salire verso l’alto sotto forma di una sottile colonna di fuoco.
Il fenomeno fu accompagnato da un boato sordo, simile al suono registrato durante le esplosioni nucleari. Dopo aver raggiunto una notevole altezza, la sfera incandescente volò via, lasciando dietro di sé una lunga “scia di fumo e fuoco”. Gli ufologi russi hanno proposto due teorie sulle cupole della Valle della Morte.
La prima ipotesi è che le cupole possano essere i rottami di un’antica astronave distrutta in un incidente o in una battaglia aerea. La seconda ipotesi, avanzata dal ricercatore russo Valery Uvarov è decisamente più intrigante è afferma che le misteriose cupole della Siberia possano essere un’antica arma costruita dagli extraterrestri per proteggere il nostro pianeta da eventuali pericoli esterni, tipo meteoriti o forze aliene ostili.
Il sistema di difesa, composto da numerose cupole interrate, sarebbe collegato ad una centrale elettrica costruita nelle profondità del suolo e capace di operare automaticamente, proteggendo la Terra dalle minacce cosmiche.
Uvarov è convinto che il sistema di difesa extraterrestre sia entrato in funzione tre volte negli ultimi cento anni: nel 1908 abbattendo il famoso meteorite di Tunguska; nel 1984 distruggendo il bolide di Chulym, penetrato nell’atmosfera fino all’altezza di circa 100 chilometri e, più recentemente, il meteorite Vitimnel 2002.
Quando qualche anno fa Uvarov avanzò questa ipotesi, riportò anche un significativo aumento dei livelli di radiazione nella zona e il progressivo abbandono dei boschi della fauna selvatica nella zona della Valle della Morte, dando al ricercatore russo l’impressione che il sistema si stesse preparando a scongiurare una minaccia imminente.
Con il senno di poi e alla luce del quasi impatto meteoritico registrato il 14 febbraio 2013 sopra i cieli della Russia centrale, sugli Urali, qualcuno ipotizza che il sistema sia entrato in funzione una quarta volta, così da scongiurare un impatto che potrebbe essere stato catastrofico: qualcosa ha distrutto il meteorite che stava per colpire gli Urali?

Una nuova spedizione confermerebbe l’esistenza delle cupole

Recentemente, un team di scienziati e di esploratori russi è tornato dalla Valle della Morte affermando di aver trovato la prova di almeno cinque cupole metalliche. “Siamo andati nella Valle della Morte per indagare e capire se le cupole metalliche raccontate da tante testimonianze esistono per davvero. Effettivamente, abbiamo trovato cinque oggetti metallici sepolti nelle paludi”, ha dichiarato lo scienziato a capo del team, Michale Visok, il quale ha descrittole seguenti caratteristiche degli oggetti:
1) Ciascun oggetto è immerso in una piccola pozza paludosa della profondità di 2-3 metri;
2) Gli oggetti sono decisamente di metallo;
3) La parte superiore degli oggetti è molto liscia al tatto, ma ci sono sporgenze molto affilate ai bordi esterni;
4) Due membri del team si sono ammalati gravemente durante l’esplorazione;
5) Il team di ricerca è composto d 3 geologi, 1 astrofisico, 1 ingegnere e 3 assistenti di ricerca.
Alla domanda su cosa il team pensa di aver scoperto e se potrebbe trattarsi di qualcosa costruita da Antichi Astronauti, Visok si è rifiutato di commentare. “C’è sicuramente qualcosa di strano là fuori, ma non abbiamo idea di cosa sia o per cosa sia stato utilizzato”, si è limitato a dire lo scienziato russo.
Visok e il suo team hanno in programma un’altra spedizione, nella quale spera di recuperare un campione dagli oggetti metallici utilizzando una punta di diamante, ma si è detto molto cauto sulla possibilità di scalfire questi oggetti, qualsiasi cosa essi siano.

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