I resti fossili di H. sapiens, tra cui un cranio e una mandibola, scoperti nel sito di Jebel Irhoud, in Marocco, risalgono a 300.000-350.000 anni fa: si tratta dei più antichi reperti noti della nostra specie, la cui origine non può più essere confinata nell'Africa sub-sahariana. E' questa la conclusione di un'analisi che documenta l'esistenza di una fase “pre-moderna” nell'evoluzione di H. sapiens
Cranio di H. sapiens ricostruito al computer sulla base di microscansioni di tomografia computerizzata di fossili del sito di Jebel Irhoud (Credit: Philipp Gunz, MPI EVA Leipzig)
La scoperta di Jean-Jacques Hubin e colleghi del Max-Planck-Institut per l'Antropologia evoluzionistica a Leipzig, in Germania, descritta in due articoli su “Nature”, potrà contribuire a mettere un po' di chiarezza nel complesso puzzle di dati finora raccolti sull'evoluzione degli esseri umani moderni a partire dal genere Homo.
I più antichi resti attribuiti a H. sapiens finora sono stati scoperti nell'Africa orientale e risalgono a circa 195.000 anni fa. La frammentarietà degli altri reperti più o meno vicini cronologicamente non permette di sapere se le caratteristiche che definiscono la nuova specie emersero rapidamente intorno a 200.000 anni fa, o più gradualmente, 400.000 anni fa circa. Il ritrovamento di fossili a Jebel Irhoud non è una novità, anzi i primi risalgono addirittura agli anni sessanta. Si tratta di ossa di animali e reperti litici simili a quelli tipici della cultura mousteriana, associata all'Uomo di Neanderthal. Una prima datazione situava cronologicamente i reperti a circa 40.000 anni fa, per cui si pensò a una forma africana di neanderthaliani. Non tutti i paleoantropologi però furono d'accordo, anche perché successive analisi indicarono che un cranio e una struttura facciale avevano affinità anatomiche più con H. sapiens che con H. neanderhaliensis. Questa conclusione fu confermata quando nel 1968, Tuttavia, i reperti trovati in Africa orientale e risalenti alla stessa epoca avevano tratti ancora più moderni, il che consolidò l'ipotesi che i fossili di Jebel Irhoud fossero testimonianza di una presenza umana marginale e periferica rispetto alle vere origini di H. sapiens. Nuovi scavi nello stesso sito hanno ora ribaltato completamente la prospettiva, poiché hanno riportato alla luce altri strumenti litici e resti umani relativi ad almeno cinque individui, tra cui un cranio parziale e una mandibola, contenuti in uno strato geologico risalente a 280.000-350.000 anni fa. Nel primo articolo di “Nature”, a prima firma Jean-Jacques Hublin, viene descritta l'analisi, condotta con tecniche statistiche, della forma dei reperti di Jebel Irhoud messi a confronto con altri resti attribuiti al genere Homo e risalenti a un ampio arco temporale (tra 1,8 milioni e 150.000 anni fa), a fossili di H. sapiens risalenti a 130.000 anni fa e a neanderthaliani. La conclusione è che i campioni scoperti in Marocco sono chiaramente distinguibili sia da quelli di H. neanderhaliensis che da quelli delle altre specie di Homo, e trovano la massima somiglianza con quelli dei moderni H. sapiens. Questa somiglianza è vera in particolare per il frammento di mandibola, se si eccettua per la maggiore larghezza. Il cranio, invece, esternamente presenta caratteri intermedi tra quelli arcaici e quelli moderni, ma è abbastanza simile a quello di H. sapiens scoperto nel sito di Laetoli in Tanzania, e al più recente cranio ritrovato a Qafzeh, in Israele. Di grande interesse la forma interna della teca cranica, la cui struttura sembra già preludere all'evoluzione verso la forma globulare del cranio di H. sapiens delle epoche successive. Secondo Hublin e colleghi, i fossili di Jebel Irhoud rappresentano la migliore prova paleoantropologica trovata finora dell'esistenza di di una fase “pre-moderna” nell'evoluzione di H. sapiens. Il secondo articolo, a prima firma Daniel Richter, descrive i risultati dell'analisi, condotta con una tecnica di termoluminescenza, dei resti di utensili scoperti nel sito marocchino, che sono attribuiti al Paleolitico Medio (300.000-40.000 anni fa). I resti di animali ritrovati negli stessi strati mostrano inoltre una manipolazione umana e i resti di carbonella indicano un probabile controllo del fuoco. Si tratta in definitiva di artefatti simili a quelli già descritti in altri siti dell'Africa orientale e meridionale, ma di epoca molto più remota: l'accuratezza della datazione li rende i più antichi artefatti paleolitici associabili a H. sapiens. FONTE: |